Perché mai la madre del mio Signore viene a farmi visita?

di Cromae

"Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta". E’ una frase semplice ma eloquente alla quale fa seguito il sussulto di gioia di Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta che, illuminata dallo Spirito Santo, esclama: "Dio ti ha benedetta più di tutte le donne, e benedetto è il bambino che avrai! Che grande cosa per me! Perché mai la Madre del mio Signore viene a farmi visita?".

Proprio quest’ultimo versetto evoca il testo del libro di Samuele al fine di paragonare Maria all’Arca dell’Alleanza che Davide fece trasportare attraverso il paese di Giuda.

Dal confronto di queste due immagini emergono dei parallelismi e in particolare i "tre mesi" della permanenza dell’Arca presso Obed-Edom e di Maria presso Elisabetta. Maria, che avrebbe potuto gioire della presenza in Lei del Figlio, non esita a dedicare il suo tempo alla cugina. Quale oblio di sé e quale carità in Maria!

Quando l’Arcangelo Gabriele Le annuncia che la cugina, già in età senile e per di più sterile, attende un bambino, non esita ad abbandonare tutto per correrle incontro. Quella giovane donna che ci appariva calma e serena a Nazareth è ora sollecita, impulsiva, perché come commenta S. Ambrogio: "Lo spirito Santo non tollera indugi e Maria è lieta di compiere un gran desiderio, delicata nel suo impegno, gioiosamente premurosa". L’ansia di Maria non è dettata dal bisogno di fare tutto in fretta come accade a noi ma è espressione del suo "amore" per gli altri e della "carità". Non è forse la carità il primo e il più amabile frutto della vita di Gesù in noi? I due comandamenti "amare Dio" e "amare il prossimo" ne formano uno solo che ha per oggetto Dio.

Dio in sé, Dio nei fratelli, ma Dio in ambedue i casi perché come dice Gesù: "Quello che farete al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me".

Non possiamo vivere soltanto per soddisfare i nostri bisogni materiali, per alimentare il nostro conto in banca. Dobbiamo essere uomini solleciti al bene e non sollecitati dai nostri affari, uomini di zelo. Come dice S. Vincenzo de’ Paoli: "Se la carità è un fuoco, lo zelo ne è la fiamma". Qui non zelat, non amat!

Impariamo da Maria a trasfondere in altri cuori il fuoco del divino amore che Gesù è venuto ad accendere in noi nella S. Comunione. Consapevoli dei misteri divini, ci serva da monito e da guida il comportamento di Maria, semplice ragazza del popolo, scelta da Dio a custodire e diffondere il "seme dell’Umanità".

L’emblema che ci pregiamo di venerare nella nostra Chiesa ci sproni a voler operare sempre il bene all’insegna dell’amore filiale e materno di Maria che racchiude in un amplesso l’umanità tutta. Lo Spirito Santo che, nella misera casetta di Nazareth, ha illuminato la mente della Vergine rischiari il cammino di noi adolescenti e ci guidi nella strada della vita che conduce a Maria e per Maria al Figlio suo Gesù.

Imitiamola nell’Obbedienza, nella prontezza, nello spirito di sacrificio nel volersi donare e facciamo in modo che, nelle occasioni quotidiane, anche noi possiamo essere "d’aiuto" agli altri. Il prossimo, paragonato ad Elisabetta, trovi in noi quella "Maria", che "annullando" se stessa nell’atto dell’obbedienza ha acquistato una dimensione più alta e sublime che l’ha resa Regina dei Cieli e della Terra.

Usciamo da noi stessi quindi e mettiamoci in viaggio, in fretta, per andare a prestare servizio a Dio e chiediamo a Lui che ci doni la sorprendente prontezza che fece di Maria la prima missionaria e che può trasformare tutti noi in missionari in seno alla famiglia, alla parrocchia, alla società.

Grazie Maria del Tuo Esempio, grazie della Tua Obbedienza, grazie del Tuo Amore. r

Da il Nicodemo n. 26 del 2 luglio 1994