Lo stupore di una visita

Dio viene nella "differenza" del quotidiano

di don Santino Colosi

Un grido di gioia sgorga vivo dal muto silenzio dell'essere di Elisabetta ed esprime, per intero, il suo stupore per un evento imprevedibile e inatteso: sulla soglia della sua casa c'è Maria, sua cugina, quella che vive lontano a Nazaret, in Galilea.

Stupore di Elisabetta che viene ricordato a chiunque entri nella nostra chiesa parrocchiale dall'iscrizione del fregio, chiave dell'arco absidale, riportante le sue parole testimoniateci dall'evangelista Luca: "Et unde hoc mihi ut veniat mater Domini mei ad me? A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?" (1,43). Ed ancor più, lo stupore viene significato dall'intensità dello sguardo e dalle mani protese in un gesto di festosa accoglienza che un artista, a noi ignoto, ha saputo esprimere nei delicati e tenui colori della tela che sormonta l'altare maggiore, seppure ora resi opachi dal tempo.

La meraviglia, fresca e quasi puerile, di questa donna "avanti negli anni" è dettata dalla presenza in lei della pienezza dello Spirito Santo.

Certamente da gioia ricevere la visita del lontano amato che si fa vicino, dell'assente che si fa prossimo, ma nella visita di Maria, Elisabetta coglie – ben oltre ogni possibile esteriorità dell'accadimento umano desiderabile – il farsi presente dell'invisibile ed inaccessibile Dio. Strano, penserà qualcuno.

Ricordiamo Abramo che vide tre uomini presso di lui e disse: "Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo" (Gen. 18,3), riconoscendo così il passaggio di Dio nella sua vita. In verità, ogni uomo è traccia dell'Altro!

Elisabetta vede ora Maria e la riconosce "madre del Signore". Maria, "benedetta tra le donne", è solo l'arca santa che custodisce la presenza di Dio, è la portatrice di Dio (Teofora), è la messaggera del Vangelo, Gesù il Cristo di Dio. Elisabetta pertanto accoglie e crede Adonai, il Signore.

L’incontro tra queste due donne è vissuto da entrambi – è appena il caso di rammentare che la cugina è venuta sollecitamente in seguito ad un annuncio – in una dimensione altra dalla banalità cieca del quotidiano, del casuale. Lo scorrere sequenziale ed incessante di attimi vuoti di senso diventa luogo della verità dell'esistenza pregna della presenza di Dio.

Lo sguardo di Elisabetta verso Maria è dunque limpido sguardo di contemplazione silenziosa ed estatica che si schiude alla visione di ciò che non si da a vedere immediatamente nella percezione sensoriale, il nascosto "frutto del grembo" di Maria, e che tuttavia si offre manifestandosi alla fede di chi, puro di cuore, fonda la propria esistenza sull'Altro che viene a visitarlo in maniera imperscrutabile e sorprendente.

Sapersi fermare, guardare la realtà con gli occhi del cuore, accogliere l'altro che ci sta di fronte come traccia dell'Altro, ci sottrae al vortice del consumo di immagini ed emozioni, di sguardi fugaci che ci pietrificano dentro l'indifferenza di una vita in cui nulla è nuovo, differente, perché uguale a ciò che già abbiamo vissuto nell'insensata noia, o peggio, nella nausea che il quotidiano genera in noi.

"E' alto / sulle macerie / il limpido / stupore / dell'immensità" (Ungaretti). Le macerie, tante, di questo secolo breve e delle nostre vite appese ad un filo, possano ancora sapersi stupire dell'Amore che, in mille inediti modi, ci visita.

La liturgia della festa della Visitazione, con il salmo responsoriale, ci invita a pregare: "La tua visita, Signore, ci riempe di gioia". La lettera agli Ebrei ci esorta, poi, a non dimenticare l'ospitalità perché "alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo" (13,2).

Con questo spirito ci accingiamo ad ospitare, per tutto il mese di luglio, i bambini del "Progetto Chernobyl" e vogliamo fare dell'ospitalità uno stile di vita personale e comunitaria. Chi sa stupirsi della "differenza" del quotidiano si apre alla rivelazione di Dio.q

Da il Nicodemo n. 56 del 2 luglio 1997