VISITARE ELISABETTA

di Franco Biviano

La personalità di Maria mi affascina. Mi colpisce soprattutto il suo chiodo fisso: la tendenza ad aiutare gli altri, sempre e comunque.  I vangeli, per la verità, non ci danno su di lei molte notizie. Ma nelle poche pennellate degli autori sacri, Maria appare sempre impegnata in aiuto di qualcuno. Il giorno in cui l’angelo Gabriele le dà l’annuncio della maternità divina, lei non si preoccupa affatto di quello che penserà la gente a saperla incinta prima del matrimonio. A perdere il sonno, appena informato dell’evento, sarà il povero Giuseppe che si preoccupa, giustamente, di risolvere la situazione senza danneggiare Maria.  Lei, invece, è tranquilla, non la sfiora nessuna preoccupazione sul proprio stato. La sua testa pensa ad altro. Un semplice accenno dell’angelo (“Anche Elisabetta, tua parente, ha concepito un figlio nella sua vecchiaia e, pur essendo ritenuta sterile, è già al sesto mese”) è sufficiente per mettere in moto il suo innato e pronto altruismo. Eccola, quindi, mettersi subito in viaggio e andare “in fretta” verso la casa della cugina, che non si trova a due passi, ma “in una regione montuosa” distante quattro giorni di cammino. La cosa notevole di questa vicenda è che Maria non si limitò a fare una visita di dovere alla anziana cugina, stile “toccata e fuga”. “Restò con Elisabetta circa tre mesi” precisa l’evangelista Luca. Ed è chiaro che rimase per un periodo così lungo al solo scopo di  prestare tutta l’assistenza richiesta dallo stato particolare e dall’età avanzata di Elisabetta.

 C’è un altro episodio evangelico, nel quale la sollecitudine di Maria verso chiunque versi in stato di bisogno traspare in maniera evidentissima. Trovandosi a Cana insieme a Gesù, tra gli invitati ad un matrimonio, si accorge da qualche segnale che ad un certo momento è venuto a mancare il vino. Nessuno la  chiama, nessuno chiede la sua opera. E’ lei stessa, di propria iniziativa, che si avvicina a Gesù per chiedergli un intervento concreto. E una volta rivolta la preghiera al Figlio, Maria non va a sedersene tranquilla al suo posto di convitata, ma dà disposizioni ai servitori perché tutto avvenga nel migliore dei modi.

Anche le varie apparizioni mariane sono, in fondo, segni della grande sollecitudine che induce questa Madre dell’umanità a lanciare avvertimenti e consigli per indurci ad apportare opportune correzioni di rotta alla nostra storia, incanalata sulla strada sbagliata.

Questa donna sempre sollecita del bene altrui deve essere il nostro modello. La nostra venerazione e la voglia di festeggiarla devono avere anche uno sbocco imitativo, devono indurci a uno sforzo quotidiano di raffronto fra la nostra vita e quella di lei, spingerci a fare nostro questo stile di vita molto diverso dall’agire comune. Ognuno di noi deve essere ogni giorno e in ogni momento la personificazione di Maria. Il suo “stile” deve essere la regola nei nostri rapporti con gli altri. Portare Dio agli altri non solo con la parola e con una presenza momentanea e fugace, ma restando per tutto il tempo necessario a rendere al fratello un servizio concreto e completo. La nostra carità non può limitarsi al gesto freddo di un’elemosina  buttata lì senza neanche guardare in faccia l’interlocutore, senza scambiare con lui una parola, senza sapere chi è questo nostro “cugino”, quali problemi e quali bisogni attraversano la sua giornata, senza elevarlo dal rango di oggetto al rango di uomo. Né basta la sola assistenza spirituale o la sola preghiera. Maria avrà sicuramente pregato per la cugina Elisabetta, ma si è pure messa in cammino per andarla a trovare e darle l’aiuto materiale di cui  aveva bisogno. Mettersi in cammino, annullare le distanze, visitare. E’ questa la chiave dello stile di Maria. Elisabetta sta accanto a noi, nel nostro paese, e non la  conosciamo. Elisabetta sta lontano, nei paesi poveri e nei paesi ricchi, e non la conosciamo. Dovunque c’è una situazione di bisogno, lì c’è la nostra “cugina” Elisabetta. Bisogno può essere una malattia, dal mal di testa al cancro; una difficile situazione familiare, dal piccolo litigio al divorzio; difficoltà economiche, da una cambiale scaduta alla vera e propria indigenza; l’isolamento e la solitudine degli  anziani; problemi giovanili, dal malessere momentaneo alla dipendenza dalla droga; l’ambiente malato, dal rumore molesto al buco nell’ozono. In tutte queste situazioni e in mille altre simili, il cristiano deve alzarsi dalla poltrona, prendere la strada tra le gambe e agire concretamente: visitare Elisabetta.

 

La nostra Comunità parrocchiale, che si fregia del titolo di “S. Maria della Visitazione”, è particolarmente votata a questa missione. Per questo, in cima all’azione pastorale viene collocata l’attenzione alle persone sofferenti e agli anziani per fare sentire loro la calda presenza di una comunità che non li dimentica, ma anzi li apprezza e li valorizza come dono del Signore. Ecco quindi l’azione dei ministri straordinari della Comunione che con le loro periodiche “visite” rendono tangibile l’affetto e la sollecitudine della Chiesa per i propri membri in difficoltà e li fanno, misteriosamente ma concretamente, partecipare al sacrificio eucaristico. Ecco l’azione di “Rinnovamento nello Spirito” che dedica la propria attenzione e le proprie energie ai fratelli disabili per farli, malgrado l’handicap, partecipi della vita comunitaria e oggetto di particolare cura. Ecco l’azione discreta di tanti operatori silenziosi, il cui impegno è noto soltanto al Signore.

Particolare sollecitudine viene mostrata anche nei confronti di coloro che vivono ai margini del territorio parrocchiale. Quasi tutte le manifestazioni, infatti, si svolgono partendo dalle periferie del paese e trovano compimento al centro, nella chiesa madre.

La nostra è, quindi, una comunità ideale? Niente affatto. Il campo delle azioni da svolgere è immenso. Sono molte di più le azioni da fare che quelle fatte. In ogni caso, colui che agisce è il Signore, gli operatori sono soltanto strumenti nelle sue mani.

Va comunque segnalata una lacuna gravissima che è la quasi totale mancanza di attenzione per il mondo giovanile. Nulla viene fatto per soddisfare la sete di sacro e di veri valori che pervade i nostri figli. La contestazione, l’atteggiamento di superiorità, lo sfottò fanno parte dell’essere  giovani. Ma mentre contestano, i giovani invocano una guida, regole certe, valori eterni. Farglieli mancare è un grave peccato di omissione.

La comunità religiosa deve interrogarsi sui propri investimenti. Bisogna creare strutture di aggregazione al passo  coi tempi, dove i giovani possano trovare sane occasioni di svago, iniziative di impegno sociale, ascolto delle loro  esigenze e dei loro problemi, educazione alla partecipazione civile, dibattiti sulle nuove tendenze.

Nessuno di noi può dormire sonni tranquilli solo per avere partecipato a una caterva di processioni, se i giovani rimangono ai margini della strada. Le confraternite non possono essere società di mutuo soccorso, capaci solo di pagare i funerali degli iscritti e soddisfare una volta l’anno la sete di festa. Bisogna assolutamente pensare ai nostri giovani.

E non ha senso denunciare che la droga circola anche a Pace del Mela ed è entrata all’interno di famiglie “insospettabili”. Bisogna chiedersi, invece, che cosa il paese dà ai giovani in alternativa alla droga, quali valori vengono proposti alle nuove generazioni: l’onestà o l’arrivismo, il sacrificio o il piacere, il timore di Dio o l’ateismo.

In una parola: anche i giovani si chiamano “Elisabetta” ed hanno bisogno di essere “visitati”.

da Il Nicodemo n.89 del 2.luglio.2000